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mercoledì 25 gennaio 2012

Addio piccola bottega, piccolo negozio di Gina Margiotta

          

Da un po’ di tempo a questa parte il sostantivo autonomo è molto utilizzato per descrivere la situazione di particolare disperazione in cui versano i commercianti e gli artigiani di piccole botteghe. Sono la figlia , la sorella e la nipote di una famiglia che, da sempre, ha lavorato in proprio , basandosi ,esclusivamente , sulle proprie forze e sulle personali possibilità.
E preoccupa e destabilizza sapere che , ogni giorno, in Italia chiudono le saracinesche di quasi trecento famiglie , ad un ritmo così sostenuto e pressante che, stando alle statistiche dell’anno 2011, un commerciante su tre è stato costretto ad abbandonare la propria attività .
In termini puramente pratici, ciò tende a sottolineare la significativa perdita di ulteriori posti di lavoro , in una società dove la crisi economica la fa da padrone , creando dei disagi che possono avere un effetto distruttivo e che stanno diventando sempre più gravi e insostenibili.
Ma nonostante questo fenomeno sempre più crescente e preoccupante , continua il boom dell’apertura di centri commerciali e punti vendita della grande distribuzione , il più delle volte costruiti uno accanto all’altro.
Ammettiamo anche che tali strutture possano essere anche fonte di comodità e utilità collettiva, non sto negando questo. Ma dobbiamo anche cercare di comprendere , se solo fosse possibile, che seppur utili, questi grandi centri non avranno mai il fascino antico e la professionalità commerciale di chi ha investito un’intera esistenza in qualcosa che , il più delle volte, è partito da zero, senza nessun sostegno e senza nessun incentivo.
A guardarsi intorno tutto il contesto legato all’attuale  commercio sembra , irrevversibilmente , legato al concetto del conformismo del potere della grande distribuzione, quasi un modello USA , a cui fare riferimento , senza nessuna possibilità di riscatto dei poveri e piccoli imprenditori.
Il grande sconforto , in questo tragico momento storico, sta nel constatare la sempre più reale ed evidente perdita di un sogno, di un progetto che un Paese come l’Italia aveva  sempre sostenuto, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale.
La possibilità di creare una professione , in grado di non sottostare alle regole del padrone , senza doversi piegare alle leggi di un consumismo sfrenato , che sta uccidendo non solo il settore economico commerciale , ma anche il classico rapporto umano-confidenziale che legava il commerciante alla sua clientela. Tutto sembra diventato asettico, estraneo, stereotipato.
Forse sono una ragazza di stampo sentimentale , ma ricordo ancora con nostalgia la gioia che mi procurava entrare nella vecchia cartoleria di quartiere , per verificare l’arrivo di merce nuova per la scuola , con la vecchia Signor Adelma che mi consigliava alcuni prodotti, basandosi sulla mia passione per i cartoni animati o , semplicemente , considerando le caratteristiche della mia personalità. Oppure ricordare quando mio padre o mia madre , chiamavano per nome le loro clienti ( e credetemi si ricordavano di tutti) , descrivendogli gli ortaggi freschi , magari consigliandogli una nuova ricetta da preparare alla famiglia per cena .
Si , è vero, forse sono una sciocca nostalgica , ma io il commercio lo concepisco ancora sotto questa forma . Ed è proprio per questo che trovo inconcepibile e triste , notare come le cose stiano cambiando, in peggio , aggiungerei.
Un sogno che oggi si infrange su tutte quelle famiglie che non stanno perdendo solo il posto di lavoro, ma anche la possibilità di vivere in un Paese democratico e giusto.
Se poi aggiungiamo il discorso di tutte le imposte e le tasse che tendono a peggiorare la situazione , probabilmente non concluderei mai il mio articolo.
Quello che è difficile da ammettere è che . purtroppo , questo perverso e irrispettoso processo è ormai innescato , e le nuove generazioni tenderanno sempre più a disertare i piccoli negozi, le piccole attività. Con questo non voglio assolutamente distruggere o criticare i grandi punti di distribuzione , perché anch’essi offrono possibilità di lavoro.
Vorrei però fosse strutturata con attento criterio, accurata scelta , la distribuzione sul territorio delle grandi imprese ,in modo da evitare la distruzione di piccole ma , comunque, importanti realtà, che non devono e non possono essere dimenticate.
Credo e auspico di non essere l’unica voce a sostenere questo grido di allarme .
Quello che più fa male è notare che , ormai, l’era dei robot-umani sta per essere proposta come figura di riferimento , un modello che non ha nulla a che vedere con il rapporto umano che sembra sempre più lontano dalla nostra quotidianità.
Insieme alla vita reale, ormai colma di insoddisfazione e miseria, stiamo distruggendo ogni tipo di sogno , che , in passato, era alla base della serenità e alla dignità della vita umana.
Che tristezza …un mondo così….   

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